Un’evocazione di panorami e scenari bellici, dai primi ‘800 ad oggi.
Il titolo “Controllo remoto” rimanda ai sistemi di supervisione che permettono di monitorare e gestire, in tempo reale, qualunque apparecchiatura, laddove dimensione della rete di controllo remoto e l’acquisizione di dati hanno un loro preciso impiego militare.
Il nuovo lavoro della compagnia Orthographe interroga la “fede percettiva” attraverso l’immaginario bellico, a partire dalle fotografie di guerra della Secessione americana, fino alle tecniche di ripresa e videocontrollo dei campi di battaglia, sviluppatesi durante la I e la II Guerra mondiale, e le strategie filmiche attuali impiegate nell’uso intensivo delle ricognizioni aeree.
un progetto di Orthographe – soggetto e regia Alessandro Panzavolta – ambientazioni sonore Lorenzo Senni – consulente alla fotografia Cesare Fabbri – elettronica tecnica e scenografie Marco Amadori – software Michele Verità – tecnici in scena Marco Amadori, Angela Longo – Produzione InteatroPROD 09, Productiehuis Rotterdam / Rotterdamse schouwburg, Orthographe – con il supporto di ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione – grazie a Library of Congress, Washington, D.C.
Controllo remoto per una logi(sti)ca della percezione
di Piersandra Di Matteo
Non c’è un grado zero dello sguardo (né l’immagine è allo stato bruto). Non c’è un documentario puro sul quale verrebbe a innestarsi in un secondo tempo una lettura simbolizzante. Ogni documento visivo è immediatamente finzione. R. Debray, Vita e Morte dell’Immagine. Una Storia dello Sguardo in Occidente
I media ci danno sempre il fatto, ciò che stato (o pretende di esserlo), ma senza la sua possibilità, senza la sua potenza; ci danno quindi un fatto in rapporto al quale siamo assolutamente impotenti. I media amano il cittadino indignato, ma impotente. G. Agamben, Il cinema di Guy Debord
Controllo remoto, il nuovo spettacolo di Orthographe, sembra muovere in una diversa direzione dai precedenti lavori per camera ottica.
È dismesso il dispositivo ottico della camera oscura. È eliminata la fruizione per posti limitati. È assente la figura del performer. Eppure anche Controllo remoto è una macchina di visione che interroga la “fede percettiva”, e lo fa attraverso l’immaginario della guerra.
Muove i suoi passi dalle fotografie di guerra della Secessione americana, fino alle tecniche di ripresa e videocontrollo dei campi di battaglia, sviluppatesi durante la prima e la seconda guerra mondiale, e le strategie filmiche attuali impiegate nell’uso intensivo delle ricognizioni aeree.
Il titolo del lavoro rimanda, non a caso, ai sistemi di supervisione che permettono di monitorare e gestire, in tempo reale, qualunque apparecchiatura, laddove dimensione della rete di controllo remoto e l’acquisizione di dati hanno un loro preciso impiego militare (telecamera termica, infrarossi, missili di precisione che utilizzano le videoriprese). Controllo remoto mette in moto delle vere e proprie dinamografie belliche che iniziano con la successione regolare di immagini fotografiche proiettate in dittico che ritraggono ambienti, scene di distruzione e i protagonisti della guerra civile americana (tratte dalla Library of Congress, Collection, The Selected Civil War Photographs, 1861-1865). Le immagini, scandite da un andamento regolare, sembrano via via prendere respiro attraverso il processo di anamorfosi prodotto dal movimento fluttuante dello schermo in cui sono proiettate. Il montaggio delle sequenze ha un ritmo tale da conferire alle immagini quel fraseggio della storia di cui parla Jacques Rancière a proposito del cinema di Godard.
Il punto di vista dal quale la guerra si mostra è quello del dispositivo di sorveglianza-distruzione, previsione-distruzione: in queste riprese individuare (un bersaglio) significa distruggere l’obiettivo mirato. Controllo remoto fa propri gli strumenti di mira: l’oculare della macchina da presa imbarcata a bordo degli aeroplani pre-figura la derealizzazione dello scontro militare in cui l’immagine ha la meglio sull’oggetto, il tempo sullo spazio, in una guerra industriale dove la rappresentazione degli eventi domina la presentazione dei fatti. Il set dello spettacolo è tutto in continuo movimento, investe tutti i volumi dello spazio, primi piani, il soffitto, lo sfondo. Supporti mobili di proiezioni conferiscono alla funzione del “vedere” un che di simulazione.
Immagini e audio di repertorio, tecniche cinematografiche impiegate nei conflitti del XX secolo si sovrappongono ai meccanismi narrativi dei war-movie hollywoodiani fino ad un effetto prismatico che evoca la Guerra dei Mondi, paesaggi distopici che guardano alle science-fiction. In definitiva, in Controllo remoto non possiamo non riconoscere la stessa tensione, le stesse domande che animavano le immagini dei primi lavori, caricate questa volta dell’era della simulazione, della rappresentazione virtuale del mondo, della sovraesposizione…..
Controllo remoto parla della guerra per interrogare lo sguardo, e con esso la storia (dell’immagine) collusa con le ideologie del potere e quindi con la politica.
Se per Paul Virilio non vi è guerra senza rappresentazione, né armi sofisticate senza mistificazione psicologica, ecco che le armi non sono solo strumenti di distruzione, ma anche strumenti di percezione dal momento che guerra, cinema e informazione sono ormai virtualmente indistinguibili.
L’arma del teatro ha sostituito il teatro delle operazioni. Controllo remoto esibisce il funzionamento intimo, tecnico e ideologico delle immagini (di guerra) che allarga lo sguardo sulle proprie possibilità, come se spettasse alle immagini il potere specifico di rendere visibile ciò che la storia genera al di là di se stessa.
Le immagini e il loro ritmo bellico interrogano allora il destino, nel senso freudiano di “destino” delle pulsioni. Non è forse il destino ciò che la storia genera al di là di se stessa, ciò che lo vincola a un passato di cui non ha memoria e a un futuro che è a venire?
“Controllo remoto” is vision machinery questioning the “perceptive faith” through the war imagery. War is shown from the point of view of overseeing-destruction and forecast-destruction device: in those shoots, to focus a target means to destroy it.
Controllo remoto owns targeting tools: the camera’s objective on the plane forecasts the unreal image of the army clash in which the image wins on the object, time on space, in an industrial war where the representation of the events dominates the representation of the facts.
Controllo Remoto (Wars)
a project by Orthographe – concept and direction Alessandro Panzavolta – sound environment Lorenzo Senni – photography consultant Cesare Fabbri – electronic technique and set design Marco Amadori – software Michele Verità – on stage Marco Amadori, Angela Longo – Production InteatroPROD 09, Productiehuis Rotterdam / Rotterdamse Schouwburg, Orthographe – with the support of ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione – thanks to Library of Congress, Washington, D.C.
Remote Control for the logi(sti)cs of perception
by Piersandra Di Matteo
The stage devices conceived by Orthographe are complex analogical machines able to produce and rouse an images poiesis with an artificial set, which employs the optical properties of lenses, light and darkness.
The mechanism’s basis is the optical room device, used in the past to create the pictorial image and starting point for the camera invention. This device was connected to a pre-scientific universe leading towards the representation of the dead people and towards the mystical practices of various initiation cults from the 1600 and 1700. The feature of this archaic technology and one of the reasons why it appears so magnetic to the eye of a contemporary audience, is that the machinery is not visible, the audience cannot see it. The images in front of the audience’s eyes are colluded with a psychic length of time; they have aspects in common with the dream-like and the waking dimension.
Orthographe de la physionomie en mouvement, 2005, and the following Tentativi di volo (Flying attempts), 2007, come both from the research on a device with a bright room with actors and lights, which no one can see because the audience sits in the dark room. It is a device, which leads to a hybrid language between painting, photography and cinema but all deepened in theatre. The image, with its syncopations, jumps, struggles and repetitions, takes and loses shape in front of the audience and it is the result of real actions which take place meanwhile, staged by non visible actors.
If in Orthographe de la physionomie en mouvement, the estranging effect is given by noises coming from the back of the audience, what strikes more the attention in the device used for Tentativi di volo (Flying attempts) is the ability to break the fluctuating pure optical whole of the images to gather around a tactile basic element. The work constantly breaks the associations’ chains of the gaze to open gaps and accelerations totally conniving with the sound sphere. The sound textile is inseparable from the image. Orthographe de la physionomie en mouvement leads to a crush between painting, photography and cinema, the body presence becomes latent and somehow illusory and the silence is suggested by the absence of the narrative progression and a minimal dramatic gesture. In the work Tentativi di volo (Flying attempts), the pictorial and slightly sculptural treatment of the image becomes radicalized (the draperies gain a plastic consistence, which almost recalls the baroque). The image, thought, flakes off, vaporizes; it generates itself through shapeless gradients, through passages into stains. Bright halos surround the presences and threaten with ghostly and hallucinatory appearances producing a perceptual disorientation.
Controllo remoto, the new Orthographe work, seems to be moving towards a different direction. There is no more optical device involved. There are no more limited seats. There is no more performer. Yet, even Controllo remoto is a vision machine, which interrogates the “perceptual faith” through the war imaginary. It starts with the American War of Secession pictures and the shooting techniques and video control of contemporary battlefields, from the First and Second World War to the actual aerial reconnaissance. The title of this work reminds us of the supervision systems which monitor and organize, in real time, any equipment where the dimension of the remote control web and the data capture have a clear military use (thermal cameras, infrared, precision missiles which use video shoots). Controllo remoto generates war dynamographies beginning with a series of diptychs showing scenes and characters of the America Civil War (taken from the Library of Congress, Collection, The Selected Civil War Photographs, 1861-1865). The images are marked in time and they seem to start breathing through the anamorphosis process given by the fluctuating movement of the screen where they are projected. The images editing has the rhythm of the history phrasing as Jacques Rancière said about Godard’s work. The war is seen through the surveillance-destruction, estimation-destruction device: in these shootings to locate (a target) means to destroy the target. Controllo remoto uses all the aim equipment: the eyepiece of the camera used on airplanes foreshadows the deconstruction of the battle where the image wins on the object, the time on the space. It is an industrial war where the events representation rules over the facts themselves. The set is constantly changing; the piece takes place all over the stage: front, ceiling and background. The mobile projection supports give to the action of “watching” a feature of simulation. Archive footages and sounds, film techniques used during the XX century conflicts overlap the narrative processes of the Hollywood war movies. They create a prismatic effect, which evokes the War of the Worlds, dystopic landscapes recalling science fiction imaginary. Controllo remoto keeps the same tension, asks the same questions as the previous works, but it comes from the simulation era, from the virtual world, from the overexposure…
Controllo remoto talkes about war to interrogate the gaze and the history (of the image) connected with power ideologies and politics.
If, for Paul Virilio, there is no war without representation, nor sophisticated weapons without psychological distortion, here the weapons are not only destruction devices but also perception ones, because war, cinema and information are almost virtually indiscernible. The theatre weapon replaced the theatre of operations. Controllo remoto shows the intimate, technical and ideological functioning of the images (of the war), which open up the vision on their own possibilities, as if the images were responsible of making visible what the history generates beside itself. The images and their war rhythm question the destiny, in its Freudian meaning of destiny of drives. Isn’t it destiny what the history generates beside itself, what ties it up to a past with no memory and a future, which still has to become?